lunedì 8 novembre 2010

Risarcimento della chance

ORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - SENTENZA 7 ottobre 2010, n.20808   MASSIMA 1. La perdita di una “chance” costituita dalla privazione della possibilità di vincere un concorso, configura un danno attuale e risarcibile sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni; alla mancanza di una tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.,
atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile ed è diretta a fare fronte all’impossibilita di provare l’ammontare preciso del danno.  2. Il danno patrimoniale da perdita di “chance” è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione “ex ante” da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. L’accertamento e la liquidazione di tale perdita, questa ultima necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati.   CASUS DECISUS La Alfa, società cooperativa a responsabilità limitata, ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano deducendo di avere consegnato alla Beta un plico contenente la documentazione necessaria per partecipare ad una gara di appalto indetta da una USL (per la fornitura di un servizio) quattro giorni prima del termine stabilito per la presentazione dei documenti. La società di spedizione aveva recapitato la busta undici giorni dopo, a termini ampiamente scaduti. In conseguenza di ciò, la Alfa era stata esclusa dalla gara di appalto. La società Alfa ritenendo che vi fosse stata negligenza da parte di Beta , ne aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni. La convenuta - costituendosi in giudizio - aveva eccepito la decadenza dall’azione, contestando, nel merito, l’esistenza di un inadempimento. Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda della società attrice, condannando la Beta al risarcimento dei danni, liquidati in lire 50.000.000, tenendo conto - in via equitativa - del presumibile utile che la società attrice avrebbe potuto conseguire in tre anni, in caso di esito favorevole della gara. La Corte di Appello di Milano, con sentenza 6 luglio-21 settembre 2005, ha confermato la decisione di primo grado. Avverso tale decisione, Beta ha proposto ricorso per cassazione sorretto da cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste Alfa con controricorso.   PRECEDENTI Conforme Difforme Quanto alla massima n. 1, v. Cass. 21 giugno 2000 n. 8468; Cass.19 febbraio 2009 n. 4052; 7 giugno n. 13288; 12 aprile 2006 n. 8615. Quanto alla massima n. 2, v. Cass. 17 aprile 2008 n. 10111; Cass. 29 marzo 2006 n. 7228.     ANNOTAZIONE Perdita di chance o danno da perdita di chance? Sembra facile la distinzione. In realtà non lo è, eppure è importante ai fini dell’accertamento e della liquidazione. La terza Sezione della Corte di Cassazione, nella pronuncia che si annota, sul punto afferma un orientamento del tutto coerente con le posizioni della giurisprudenza oggi nettamente dominante. Mentre la perdita di chance configura un danno attuale e risarcibile - sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni -, il danno patrimoniale da perdita di chance è un danno futuro consistente nella perdita della mera possibilità di conseguire un vantaggio economico. Quello sottoposto al vaglio dei Giudici di legittimità è uno dei casi più frequenti nella prassi: la società Alfa consegna ad una società di spedizione un plico contenente la documentazione necessaria per partecipare ad una gara di appalto, prima della scadenza del termine stabilito per la presentazione dei documenti. La società di spedizione recapita la busta undici giorni dopo, quando termini sono ormai scaduti. In conseguenza di ciò, la società Alfa viene esclusa dalla gara di appalto sicché la stessa società agisce in giudizio chiedendo la condanna al risarcimento dei danni della società di spedizione. La domanda di parte attrice è accolta dai giudici di prime cure e successivamente confermata dalla Corte di Appello. La società di spedizione, insoddisfatta dell’esito dei due gradi di giudizio, propone ricorso per cassazione. La parte centrale dello sviluppo argomentativo della pronuncia riflette la consapevolezza della Corte in ordine alla netta distinzione tra perdita di chance e danno da perdita di chance, la prima consistendo in una perdita di un vantaggio economico - che mai può essere oggetto di una valutazione equitativa. Al contrario, l’accertamento del danno da perdita di chance deve valutarsi ex ante e di conseguenza il suo accertamento e la relativa liquidazione – da effettuarsi necessariamente per aequitatem ex art. 1226 c.c.- sono devoluti al giudice di merito e sono pertanto sottratti al sindacato di legittimità se adeguatamente motivati. Sulla scorta di tali osservazioni la Corte rigetta il ricorso della società di spedizione, atteso che i giudici di merito avevano tenuto conto della possibilità concreta di aggiudicazione della gara di appalto, effettuando una valutazione del danno da perdita di chance della Società Alfa in via equitativa e logicamente motivata. In conclusione, può ritenersi un principio tendenzialmente stabile quello fin qui ribadito dalla Corte. Certo è che la pluralità di riferimenti giurisprudenziali in materia ha contribuito a creare un sistema tendenzialmente completo. Si tratterà piuttosto di verificare se e come i giudici di merito utilizzeranno tali coordinate.   TESTO DELLA SENTENZA  CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - SENTENZA 7 ottobre 2010, n.20808 - Pres. Trifone - est. Filadoro        MOTIVI DELLA DECISIONE        Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2965 c.c. (decadenza stabilita contrattualmente), in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.  Le censure formulate con il primo mezzo di impugnazione sono prive di fondamento.  I giudici di appello hanno ritenuto la nullità della clausola contenuta nell’art. 7 delle condizioni generali di trasporto, nella quale era previsto che eventuali reclami dovessero essere presentati per iscritto entro trenta giorni dalla data di spedizione.  La Corte territoriale ha ritenuto che l’esercizio del diritto era reso difficoltoso, se non impossibile, da tale clausola, considerato che il termine iniziale di decorrenza prescindeva completamente dalla conoscenza effettiva della inadempienza del vettore da parte del mittente. Tra l’altro, nel caso di specie, Beta aveva comunicato alla Alfa, contrariamente al vero, che il plico era consegnato al destinatario.  Con la conseguenza che la Alfa, in concreto, non aveva avuto conoscenza dell’inadempimento della s.r.l. Beta.  Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di appello in ordine alla nullità della clausola di decadenza sfuggono a qualsiasi censura, in quanto esenti da vizi logici ed errori giuridici.  Ogni questione relativa alla congruità del termine di trenta giorni, pertanto, rimane assorbita dalle considerazioni che precedono.  Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1225 e 1228, i relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.  La società ricorrente osserva che i giudici di appello avevano - erroneamente - ritenuto doloso il comportamento tenuto dal suo incaricato, con la conseguenza che Beta era stata chiamata a rispondere del fatto del suo incaricato anche per i danni non prevedibili, ai sensi degli articoli 1228 e 1225 c.c.  In realtà, non vi era alcuna prova che l’incaricato Beta volesse scientemente danneggiare la Alfa (abbandonando il plico in un ufficio e facendo figurare, attraverso la falsificazione della firma di un incaricato al ritiro della corrispondenza, come effettuato il ritiro dello stesso da parte di personale ASL).  Se il patto che limita la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave è nullo, non può dirsi altrettanto per il patto che limita la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave di terzi dei quali il debitore si avvalga nell’adempimento della obbligazione.  Per questa ipotesi, infatti, l’art. 1228 c.c. fa salva la diversa volontà delle parti.  Il motivo è privo di pregio.  La responsabilità di Beta  ha natura contrattuale anche per quanto concerne il comportamento tenuto dall’incaricato alla consegna del plico.  Questa responsabilità - come ha riconosciuto la Corte territoriale nella sentenza impugnata - è conseguenza dell’applicazione dell’art. 1228 c.c. secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde dei fatti dolosi e colposi di questi (Cass. 28 maggio 2004 n. 10297, 4 marzo 2004, n. 4400, 17 maggio 2001 n. 6756, 8 gennaio 1999, n. 103).  Poiché il comportamento doloso posto in essere dall’incaricato della società ricade su Beta, ai sensi dell’art. 1228 c.c., la società Beta deve rispondere anche per i danni non prevedibili, senza alcuna limitazione (artt. 1228 e 1225 c.c.).  I giudici di appello hanno riaffermato il principio per cui se l’inadempimento dipende da dolo o colpa grave, il risarcimento si estende anche al danno che “non poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta la obbligazione”.  Nella memoria ex art. 378 c.p.c., la società ricorrente richiama la clausola delle condizioni generali di abbonamento al servizio recapito, contenente una deroga al principio generale della responsabilità di Beta  per atti, inadempimenti od omissioni dei soggetti incaricati del trasporto.  Si richiama sul punto la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale deve considerarsi nullo, ai sensi dell’art. 1229, primo comma, c.c. (in tema di clausole di esonero dalla responsabilità) qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, in contrasto con il principio di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ., il quale stabilisce che, per le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.  Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1696 e 1229 c.c.  Poiché oggetto del trasporto era costituito dal documento, doveva applicarsi la clausola delimitativa del rischio che poneva a carico del trasportatore, nel caso di perdita del documento, il valore minore tra costo di rifacimento, quello di sostituzione e di riparazione.  In altre parole, il criterio di determinazione del documento - ad avviso della ricorrente - dovrebbe essere collegato al valore intrinseco dello stesso.  Anche questa censura è priva di fondamento.  Con interpretazione della clausola contrattuale, che qui non è censurata specificamente, la Corte territoriale ha ritenuto che la clausola n. 9 delle condizioni generali del contratto non costituiva affatto una deroga alla normativa legale sul punto della responsabilità della Beta o sulla delimitazione del rischio in caso di perdita della merce e di risarcimento dovuto al mittente o al destinatario.  Beta aveva ricevuto l’incarico di consegnare il plico contenente la sua offerta di partecipazione alla gara di appalto, secondo le modalità ed i tempi indicati nel bando.  I giudici di appello hanno escluso qualsiasi concorso di colpa della mittente, ricordando che l’incaricato di Beta  aveva fatto figurare come avvenuto il ritiro del plico da parte del personale ASL mediante falsificazione della firma di un dipendente addetto a ritiro della corrispondenza.  Un comportamento doloso di questo genere, ha sottolineato la Corte territoriale, era tale da interrompere ogni eventuale preesistente nesso causale tra azione od omissione della mittente ed evento e verificarsi del danno. Con la conseguenza che Beta  era tenuta al risarcimento del danno, nella misura liquidata dal primo giudice “tenuto conto del presumibile utile che l’attrice avrebbe potuto percepire dall’esito favorevole della gara - 60 milioni circa annui per tre anni - e della percentuale di esito favorevole contenuta nella misura del 20%”.  Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1227 e 1683 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.  Non era comunque ammissibile che il danno derivante dalla perdita o mancata consegna di un documento occorsa durante un trasporto fosse rapportato al valore rappresentativo del documento, per il mittente o per il destinatario.  La circostanza che il vettore non potesse conoscere il valore rappresentativo del documento doveva portare ad escludere (anche in caso di dolo o colpa grave) che il vettore potesse essere considerato responsabile del danno conseguente alla indisponibilità del documento, o del danno conseguente al mancato perfezionamento di una dichiarazione recettizia, quale la offerta contrattuale espressa a seguito di bando di gara di appalto.  In ogni caso, la società ricorrente avrebbe avuto l’onere di indicare - sulla busta - il termine perentorio entro il quale il plico avrebbe dovuto essere consegnato. Le condizioni generali di contratto prevedevano soltanto la consegna del plico all’indirizzo del destinatario, “ma non necessariamente alla persona del destinatario stesso” escludendo, pertanto, ogni responsabilità di Beta  in caso di consegna a persona fisica diversa da quella indicata.  Si deduce concorso di colpa del mittente per non avere indicato sulla busta elementi essenziali (quali: il termine di consegna, l’ufficio al quale recapitare il pacco, la necessità che l’ufficio destinatario apponesse timbro di ricevuta).  Il mezzo di impugnazione è privo di fondamento.  Il risarcimento richiesto da Alfa è collegato alla esclusione dalla gara di appalto (in conseguenza della mancata consegna della sua domanda di partecipazione).  Il recapito dell’offerta era consentito anche tramite agenzia autorizzata: pertanto Alfa aveva legittimamente affidato il recapito della offerta alla Beta.  Le questioni relative alla mancata indicazione di contenuto (e valore presumibile del contratto di appalto) e termini di consegna del plico sono state dichiarate assorbite dai giudici di appello.  I giudici di appello hanno rilevato che l’appellante Beta doveva considerarsi terza estranea alle previsioni della gara di appalto, sottolineando che la gravissima responsabilità di Beta  valeva in ogni caso ad interrompere qualsiasi eventuale preesistente nesso causale.  Si tratta, anche in questo caso, di valutazioni di merito non censurate specificamente.  Si richiama la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’esclusione del rapporto di causalità - nel giudizio relativo a risarcimento del danno - deve essere valutata, in concreto, nell’esclusiva sede del giudizio di merito (Cass. 7 dicembre 2005 n. 26997).  In via subordinata, la società ricorrente osserva che nella valutazione del danno subito, dovrebbe tenersi conto che la società danneggiata aveva concorso al verificarsi del danno, con conseguente applicazione dell’art. 1227 c.c., sotto entrambi gli aspetti indicati dalla norma.  A titolo esemplificativo, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte la quale ritiene, nel caso di insufficiente indicazione del valore della merce, che siano a carico del mittente le conseguenze per avere il vettore assicurato la merce per un valore inferiore a quello reale.  Il richiamo a tale fattispecie non appare pertinente alla fattispecie in esame, nella quale deve piuttosto fare riferimento a quell’indirizzo giurisprudenziale (Cass., 8 ottobre 1991 n. 10533) per cui: “La responsabilità del vettore nei confronti del mittente (o del subvettore nei confronti del subcommittente) per il furto della merce non è esclusa o attenuata dalla omessa indicazione da parte del mittente della natura, quantità o peso di tale merce a norma dell’art. 1683 cod. civ. se manchi ogni collegamento causale tra l’omissione o inesattezza delle indicazioni predette ed il fatto che ha determinato la perdita della merce”.  È questa l’ipotesi che ricorre nel caso di specie, nel quale è stato escluso ogni collegamento causale tra la (eventuale) omissione delle indicazioni suindicate sull’esterno della busta ed il fatto che ebbe a determinare la mancata consegna del plico (pag. 9 della sentenza impugnata: “difetta, in ogni caso, la riconducibilità causale dei danni subiti dalla coop. Alfa al comportamento dedotto con la tesi in esame, essendo, inoltre ed in ogni caso, la gravissima responsabilità dell’appellante interruttiva di ogni eventuale preesistente nesso causale”).  Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. nonché contraddittoria ed illogica motivazione, in ordine alla valutazione del danno rapportata alla perdita di “chance” per la omessa partecipazione alla gara.  I giudici di appello - come già il Tribunale in primo grado - avevano rapportato il danno alla perdita di chances subita da Alfa a causa della mancata partecipazione alla gara di appalto ed alla lesione dell’immagine.  In realtà vi era la certezza che Alfa non si sarebbe aggiudicata la gara, avendo offerto un prezzo superiore a quello dei propri concorrenti.  Non vi era stata, inoltre, alcuna lesione alla immagine di Alfa, poiché ASL era stata resa immediatamente edotta del disguido derivato dalla mancata consegna del plico al proprio ufficio.  Anche questo ultimo motivo è privo di fondamento.  La perdita di una “chance” costituita dalla privazione della possibilità di vincere un concorso, configura un danno attuale e risarcibile sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni; alla mancanza di una tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile ed è diretta a fare fronte all’impossibilita di provare l’ammontare preciso del danno (Cass. 21 giugno 2000 n. 8468, cfr. Cass.19 febbraio 2009 n. 4052, 7 giugno n. 13288, 12 aprile 2006 n. 8615).  Il danno patrimoniale da perdita di “chance” è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione “ex ante” da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale.  L’accertamento e la liquidazione di tale perdita, questa ultima necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati (Cass. 17 aprile 2008 n. 10111; cfr., per qualche riferimento, in materia di mancata aggiudicazione di gara pubblica, e di lesione dell’interesse pretensivo del soggetto ad acquisire posizioni soggettive abilitanti e comunque ammissive di “status” e capacità, Cass. 29 marzo 2006 n. 7228).  Nel caso di specie, i giudici di appello avevano tenuto conto della possibilità concreta di aggiudicazione della gara di appalto, riducendo il risarcimento da lucro cessante da 180 a 50 milioni.  Si tratta di una valutazione formulata in via equitativa, logicamente motivata, che sfugge a qualsiasi censura in sede di legittimità.  Tale valutazione, secondo l’apprezzamento incensurabile compiuto dai giudici di appello, tiene conto anche della perdita di un possibile incremento del punteggio attribuito al curriculum della Alfa (come rilevato a pag. 11 della sentenza impugnata).  ConclusivORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - SENTENZA 7 ottobre 2010, n.20808   MASSIMA 1. La perdita di una “chance” costituita dalla privazione della possibilità di vincere un concorso, configura un danno attuale e risarcibile sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni; alla mancanza di una tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile ed è diretta a fare fronte all’impossibilita di provare l’ammontare preciso del danno.  2. Il danno patrimoniale da perdita di “chance” è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione “ex ante” da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. L’accertamento e la liquidazione di tale perdita, questa ultima necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati.   CASUS DECISUS La Alfa, società cooperativa a responsabilità limitata, ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano deducendo di avere consegnato alla Beta un plico contenente la documentazione necessaria per partecipare ad una gara di appalto indetta da una USL (per la fornitura di un servizio) quattro giorni prima del termine stabilito per la presentazione dei documenti. La società di spedizione aveva recapitato la busta undici giorni dopo, a termini ampiamente scaduti. In conseguenza di ciò, la Alfa era stata esclusa dalla gara di appalto. La società Alfa ritenendo che vi fosse stata negligenza da parte di Beta , ne aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni. La convenuta - costituendosi in giudizio - aveva eccepito la decadenza dall’azione, contestando, nel merito, l’esistenza di un inadempimento. Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda della società attrice, condannando la Beta al risarcimento dei danni, liquidati in lire 50.000.000, tenendo conto - in via equitativa - del presumibile utile che la società attrice avrebbe potuto conseguire in tre anni, in caso di esito favorevole della gara. La Corte di Appello di Milano, con sentenza 6 luglio-21 settembre 2005, ha confermato la decisione di primo grado. Avverso tale decisione, Beta ha proposto ricorso per cassazione

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