mercoledì 10 novembre 2010

LAPREGIUDIZIALE AMMINISTRATIVA:DIBATTITO PRIMA DEL CODICE AMMINISTRATIVO

Sommario: 1. L’abbandono della pregiudiziale amministrativa nella sentenza n. 500/99 della Cassazione e la successiva giurisprudenza favorevole alla pregiudiziale. 2. La posizione della dottrina e la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale. 3. Le decisioni del 2006 della Cassazione sulla pregiudiziale e le successive reazioni. 4. L’opzione del privato in favore della tutela risarcitoria. 5. Alcuni spunti di diritto comparato. 6. Conclusioni.

1. L’abbandono della pregiudiziale amministrativa nella sentenza n. 500/99 della Cassazione e la successiva giurisprudenza favorevole alla pregiudiziale.
Per “pregiudiziale amministrativa” si intende la necessità di impugnare (ed ottenere l’annullamento) dell’atto amministrativo prima di poter conseguire il risarcimento del danno derivante da quel medesimo atto.
Prima della sentenza n. 500/1999, la Cassazione ammetteva la tutela risarcitoria del c.d. diritto affievolito, e cioè dell'originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un provvedimento illegittimo che fosse stato poi annullato dal giudice amministrativo con effetto ripristinatorio retroattivo [1].
In tali ipotesi era necessario adire prima il giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto, idoneo a far riemergere il diritto soggettivo e poi il giudice ordinario per chiedere il risarcimento del danno.
La pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto a quella risarcitoria aveva anche costituito il presupposto, in base al quale la Corte Costituzionale aveva ritenuto inammissibile per assenza di rilevanza attuale la questione di costituzionalità relativa alla mancata previsione della risarcibilità dei danni derivanti a terzi dall'emanazione di atti e provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi, in quanto nella fattispecie in esame non si era verificato il presupposto per la configurazione di una responsabilità della Pubblica amministrazione in conseguenza di un atto amministrativo, essendo in corso l'accertamento del giudice amministrativo sulla illegittimità dell'atto o della condotta amministrativa [2].
Nella stessa logica della pregiudiziale era stato introdotto, in materia di appalti, l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142, che aveva previsto che i soggetti che hanno subìto una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme interne di recepimento possono chiedere il risarcimento del danno nei confronti dell'Amministrazione aggiudicatrice, con domanda proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo.
Con la sentenza n. 500/1999, la Cassazione, anche se solo in un obiter dictum, accoglie una visione ispirata all’assoluta autonomia delle due azioni (di annullamento e risarcitoria), ammettendo che il danneggiato possa direttamente rivolgersi al g.o. per ottenere il risarcimento nel termine di prescrizione, anche senza la previa impugnazione dell’atto amministrativo illegittimo. Viene evidenziato che non sembra ravvisarsi la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento rispetto alla domanda risarcitoria, che era stata in passato costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 Cod. civ., riservata ai soli diritti soggettivi; tale indirizzo non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimità dell'azione amministrativa non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l'illecito, poiché l'illegittimità dell'azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 Cod. civ..
Tali principi sono stati affermati dalla Cassazione con riguardo alle norme previgenti l’entrata in vigore della legge n. 205/2000, in quanto sulla base dell’originaria versione dell’art.. 35 del D. Lgs. n. 80/98 la concentrazione delle azioni (di annullamento e risarcitoria) davanti al giudice amministrativo. era stata attuata solo per le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva di quest’ultimo, mentre nelle materie in cui il G.A. aveva la sola giurisdizione di legittimità la domanda risarcitoria doveva essere proposta davanti al giudice ordinario. La riformulazione dell’art. 35, ad opera dell’art. 7 della legge n. 205/2000 ha eliminato anche tale residuo spazio di tutela ripartita tra due giudici, attribuendo al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva e di legittimità, tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.
I dubbi sulla pregiudizialità si sono quindi riproposti con tutta la loro complessità quando la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo si è spostata sul fronte della giurisdizione amministrativa a seguito della menzionata concentrazione delle due azioni presso il medesimo giudice, resasi necessaria per evitare al cittadino la complicazione di dover adire due giudici prima di essere soddisfatto, per evitare il contrasto di giudicati e per attuare il principio della ragionevole durata fissato all’art.111 Cost..
Peraltro, la definitiva attuazione della concentrazione delle due azioni davanti ad unico giudice, quello amministrativo, costituisce un elemento di rilievo da tenere presente anche con riferimento alla questione della pregiudiziale amministrativa, considerato che la stessa Cassazione, oltre a formulare in via ipotetica la tesi del superamento della pregiudizialità (“…non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento….”), ha espressamente riferito l’affermazione ai giudizi risarcitori, che, al tempo, erano attribuiti alla giurisdizione del G.O. e la cui cognizione spetta oggi al G.A.; la ricostruzione operata dalla Cassazione appare dettata principalmente dall’intento sostanziale di eliminare il regime del necessario ricorso a due forme di tutela per ottenere da un giudice l’annullamento dell’atto e da altro giudice il risarcimento del danno.
Va subito chiarito che il problema della pregiudizialità si pone unicamente in ipotesi di danno derivante dal provvedimento illegittimo, mentre non vi alcuna pregiudizialità dell’azione di annullamento in fattispecie di danni derivanti da comportamento, o comunque non direttamente provocati dagli effetti del provvedimento illegittimo (è evidente che se il danno non deriva da un provvedimento amministrativo, non si pone neanche il problema di dover impugnare tale provvedimento).
La pregiudiziale amministrativa non è però intesa dal giudice amministrativo come preclusione assoluta all’azione risarcitoria, in quanto viene ammesso che la previa o contestuale proposizione dell’azione di annullamento del provvedimento amministrativo non costituisce presupposto di ammissibilità dell’azione risarcitoria nel caso in cui l’atto sia già stato caducato all’esito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o sia stato rimosso in via amministrativa prima della scadenza del termine di decadenza previsto per l’impugnazione (a seguito dell’esercizio dei poteri di autotutela o dei poteri di annullamento di organo sovraordinato) o nella diversa ipotesi in cui il danno da risarcire derivi da una illegittimità non già di un atto, ma dell’attività della P.a. (ad esempio, il danno da ritardo).[3]

La giurisprudenza amministrativa si è orientata in favore della tesi della sussistenza della pregiudizialità.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e l’azione di risarcimento del danno è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari [4].
La pronuncia richiama una precedente decisione, in cui la tesi della pregiudizialità è stata sostenuta sulla base delle seguenti considerazioni.[5]
E’ stato rilevato che l’assenza di un potere di disapplicazione in capo al G.A., che può solo conoscere in via principale atti amministrativi di natura non regolamentare e non anche disapplicarli, non costituisce argomento di carattere puramente processuale, ma assume una valenza sostanziale, in quanto è strettamente collegato con il principio della certezza della situazioni giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi.
La chiara l’elusione del termine decadenziale previsto per l’impugnazione degli atti amministrativi costituisce infatti ostacolo insuperabile ai fini dell’ammissibilità di un’azione risarcitoria autonoma rispetto all’azione di annullamento dell’atto, fonte del danno.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che non si ravvisano ragioni per cui il breve termine decadenziale per l’impugnazione degli atti amministrativi dovrebbe operare solo quando si chiede l’annullamento dell’atto, mentre non sarebbe applicabile quando la stessa posizione soggettiva di interesse legittimo viene tutelata in via risarcitoria in un giudizio in cui la legittimità del provvedimento fonte di danno costituisce sempre oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo, al pari dell’ipotesi della sola domanda di annullamento.
Sono state, inoltre, evidenziate alcune incongruenze, derivanti dalla tesi dell’autonomia tra azione di annullamento e azione risarcitoria; infatti, in presenza di un atto amministrativo, mai impugnato e ritenuto solo incidentalmente illegittimo dal giudice amministrativo, l’amministrazione avrebbe davanti due alternative: a) rimuovere necessariamente l’atto, ritenuto illegittimo dal giudice; b) opporre l’inoppugnabilità del provvedimento non contestato nei termini e tenere quindi fermo l’assetto degli interessi regolato da quell’atto, pur in presenza di una condanna al risarcimento dei danni che da quell’atto sono derivati e che, in ipotesi soprattutto di atti di diniego, possono continuare a prodursi anche in futuro. Nel primo caso sarebbe evidente l’aggiramento dei termini decadenziali, posti dal legislatore, oltre che l’ulteriore inconveniente del mancato rispetto del contraddittorio con controinteressati che non rivestono la qualifica di parti necessarie nel giudizio risarcitorio e che possono aver beneficiato del provvedimento amministrativo, che in quel giudizio è stato ritenuto illegittimo; mentre nella seconda ipotesi sussisterebbe un’evidente contraddittorietà tra l’accertato obbligo di risarcimento e la permanente efficacia di un atto fonte di pretese risarcitorie anche ulteriori.
Rispetto alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, cui il termine breve di impugnazione è funzionale, risulta di difficile compatibilità una fattispecie in cui il privato dopo essere rimasto silente (nel senso di non avere impugnato l’atto) dopo l’emanazione di un provvedimento amministrativo a lui sfavorevole agisca in via giurisdizionale nell’imminenza della scadenza del termine prescrizionale di cinque anni, chiedendo il risarcimento del danno.
Ulteriori argomenti sono stati tratti anche dal dato testuale dell’art. 35 del D. Lgs. n. 80/98, nel testo novellato dalla legge n. 205/2000: sia l’art. 7, comma 3, della L. Tar, come da ultimo modificato, che comma 5 dell’art. 35 del D. Lgs. n. 80/98 hanno qualificato le questioni risarcitorie collegate ad un provvedimento illegittimo, come questioni "consequenziali" rispetto all'annullamento di quest'ultimo, riconoscendo implicitamente che il risarcimento presuppone non un semplice accertamento incidentale dell’atto, ma il suo annullamento.
A favore della tesi della pregiudizialità si è espressa anche la Cassazione, che, andando di contrario avviso rispetto ai principi affermati nella sentenza n. 500/99, ha rilevato che il giudice ordinario è titolare del potere di disapplicare il provvedimento amministrativo quando l’oggetto della controversia al suo esame sia costituito dalla pretesa di un diritto soggettivo perfetto e quando la valutazione della legittimità del provvedimento debba avvenire soltanto in via incidentale. L’illegittimità dell’atto, quale elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., non può essere accertata in via incidentale e senza efficacia di giudicato; pertanto, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, transazione, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere rigettata perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito.
Sempre secondo la II Sezione della cassazione, il principio fondamentale di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, a cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, subirebbe un notevole vulnus ove fosse consentito far valere, sia pure ad altri fini, l’illegittimità.
Anche nei rapporti paritetici, in molti casi viene privilegiata tale esigenza di certezza con la previsione di termini decadenziali entro cui contestare la conformità a diritto di determinate situazioni giuridiche, la cui scadenza preclude anche l’azione risarcitoria: non è consentito domandare il risarcimento del danno per essere stati assoggettati illegittimamente a sanzione amministrativa mediante ordinanza-ingiunzione non impugnata ai sensi della l. 689/81; il lavoratore licenziato non può scegliere di optare per il risarcimento del danno, senza impugnare il recesso secondo le prescrizioni della l. 604/66; lo stesso deve dirsi per il caso di mancata impugnativa di delibere condominiali o societarie [6].

2. La posizione della dottrina e la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale.
Parte della dottrina sostiene, in senso contrario alla pregiudizialità dell’annullamento rispetto al risarcimento, l’assoluta autonomia tra le due azioni sulla base dei seguenti argomenti:
- il temine decadenziale non rileva ai fini del risarcimento del danno, in quanto si tratta di un termine previsto per garantire in tempi rapidi la certezza dell’intangibilità alla fattispecie provvedimentale, mentre la regolazione degli interessi in gioco non viene posta in discussione da un’azione solo risarcitoria, nella quale la verifica della legittimità dell’atto è operata incidentalmente;
- l’assenza di un espresso potere di disapplicazione in capo al G.A. si giustifica con la sussistenza del più penetrante potere di annullamento, ma nei casi in cui l’annullamento non viene chiesto alcuna disposizione vieta al G.A. di conoscere incidentalmente dell’atto amministrativo; per perfezionare la fattispecie di illecito aquiliano ex art.2043 c.c. non vi è affatto bisogno del previo annullamento dell’atto amministrativo;
- è comunque possibile l’applicazione dell’art.1227, comma 2, c.c., ai sensi del quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, in modo che il risarcimento sarebbe ridotto in misura consistente verso chi non abbia cura di agire tempestivamente con l’azione demolitoria, invocando la relativa tutela cautelare [7];
- la pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto a quella di risarcimento è regola di dubbia legittimità costituzionale, perché si pone in contrasto con il diritto di difesa e con l’effettività della tutela giurisdizionale di diritti e interessi contro la P.A.[8]
Altra parte della dottrina, per ragioni che, nelle varie prospettazioni, si differenziano notevolmente, ha continuato a ritenere che tra tutela risarcitoria e azione di annullamento intercorra un rapporto di pregiudizialità, nel senso che la tutela risarcitoria resterebbe comunque subordinata al previo tempestivo esperimento dell’azione di annullamento e più precisamente al previo annullamento dell’atto[9].
E’ stato evidenziato che, aderendo alla tesi della pregiudiziale, non si introduce alcuna ingiustificata deroga rispetto agli istituti civilistici, in quanto la natura generale della disposizione di cui all’art. 2043 c.c. impone di ricercare all’esterno della norma stessa la rilevanza giuridica della relazione tra soggetto e bene e di individuare sempre all’esterno gli interessi giuridicamente rilevanti e quindi risarcibili, se lesi. In caso di danni derivanti dall’attività amministrativa e, in particolare, da atti amministrativi illegittimi, l’ordinamento assicura tutela all’interesse del danneggiato con disposizioni specifiche che prevedono un breve termine per contestare gli atti, al cui rispetto è subordinata la protezione di quell’interesse in ogni forma.
Inoltre, il collegamento tra l'esercizio del potere autoritativo e la questione risarcitoria, posto alla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/04, era sembrato confortare l'idea che tale potere vada sempre contestato nel termine di decadenza, secondo la tecnica impugnatoria e confermare quindi l’orientamento del Consiglio di Stato sulla questione della pregiudiziale.[10]
Il giudice delle leggi ha chiarito che il risarcimento del danno ingiusto non costituisce una nuova “materia” attribuita alla giurisdizione del G.A., ma integra uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.[11]
Se il risarcimento del danno è uno strumento di tutela ulteriore delle posizioni di interesse legittimo, sembra corretto ritenere che, nei casi in cui l’ordinamento preveda un termine di decadenza per agire in giudizio a difesa di tali posizioni incise da un provvedimento amministrativo, debba comunque essere rispettato tale termine di decadenza, anche qualora si chieda la sola tutela risarcitoria.
Si deve anche tenere presente che la tutela risarcitoria ha tendenzialmente una funzione sussidiaria rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l’annullamento dell’atto impugnato, nel senso che gli effetti conformativi derivanti dal giudicato di annullamento garantiscono la tutela della posizione di interesse legittimo e che, qualora a causa del decorso del tempo o di altri motivi, tale forma di tutela non sia, in tutto o in parte, possibile o comunque residuino dei danni, la stessa posizione di interesse legittimo viene protetta (anche o solo) con la tutela risarcitoria.
Ciò non preclude, come verrà chiarito oltre che l’interessato possa optare per la sola tutela risarcitoria, ma anche in questo caso restano ferme quelle esigenze di certezza delle posizioni giuridiche, al cui presidio è posto il termine di decadenza per contestare i provvedimenti amministrativi.

3. Le decisioni del 2006 della Cassazione sulla pregiudiziale e le successive reazioni.
Dopo le citate decisioni della Corte Costituzionale, sembrava chiaro che il problema della pregiudiziale amministrativa fosse una questione tutta interna alla giurisdizione amministrativa e ciò sembrava essere confermato anche dalla Cassazione, secondo cui il privato deve necessariamente rivolgersi al G.A. per chiedere il risarcimento del danno, risultandogli preclusa la facoltà di chiedere autonomamente tale risarcimento del danno dinanzi al giudice ordinario.[12]
Il quadro giurisprudenziale sembrava, quindi, in via di consolidamento con il riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento illegittimo e sulla conseguente devoluzione alla sola giurisprudenza amministrativa della questione della pregiudiziale (risolta da tale giurisprudenza nel senso in precedenza descritto).
Nel corso del 2006 tale quadro è, tuttavia, mutato repentinamente per ben due volte.
Dapprima, con la sentenza n. 1207/06 le Sezioni Unite della Cassazione, nell’affermare che le controversie sul danno da provvedimento appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo solo in caso di domanda risarcitoria proposta contestualmente all’azione di annullamento (e non in caso di autonomo giudizio dopo il giudicato di annullamento, da proporre al giudice ordinario), hanno escluso che possa essere proposta una azione risarcitoria avente a oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendo precluso al giudice il sindacato in via principale sull’atto o sul provvedimento amministrativo.[13]
La Cassazione aveva, in sostanza, affermato che la domanda risarcitoria può essere proposta davanti al giudice amministrativo solo contestualmente all’azione di annullamento (e quindi avendo impugnato l’atto, fonte del danno, nel termine di decadenza) e che l’azione autonoma è proponibile davanti al giudice ordinario solo dopo l’annullamento del provvedimento amministrativo, restando preclusa in ipotesi di omessa impugnazione.[14]
Nel giugno del 2006 sopravviene un nuovo cambio di rotta delle Sezioni Unite, che, con le ordinanze n. 13659 e n. 13660/2006, riconoscono  la giurisdizione del giudice amministrativo sul danno da provvedimento, sia in caso di domanda risarcitoria proposta unitamente all’azione di annullamento sia in caso di domanda proposta in via autonoma, ma accompagnano tale statuizione con il (forse definitivo) abbandono della pregiudiziale.[15]
Viene affermato che ammettere la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell'atto illegittimo e dannoso (tesi definita “tutta amministrativa”), anziché dal solo accertamento della sua illegittimità significherebbe restringere la tutela che spetta al privato di fronte alla pubblica amministrazione ed assoggettare il suo diritto al risarcimento del danno, anziché alla regola generale della prescrizione, ad una Verwirkung amministrativa, tutta italiana.
Secondo la Cassazione, un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che hanno attribuito al giudice amministrativo la giurisdizione sul risarcimento del danno, consente di riconoscere loro la portata d'avere dato al giudice amministrativo giurisdizione anche solo in rapporto alla tutela risarcitoria autonoma, senza la previa impugnazione del provvedimento fonte del danno.
All’obiezione, secondo cui è nella disponibilità del legislatore disciplinare la tutela delle situazioni soggettive assoggettando a termini di decadenza l'esercizio dell'azione, la Cassazione risponde che, tuttavia, una norma del genere oggi manca e in ogni caso una norma che in modo esplicito assoggettasse ad un termine di decadenza la domanda di solo risarcimento del danno davanti al giudice amministrativo non potrebbe essere formulata nel senso di rendere il termine sostanzialmente eguale a quello cui è soggetta la domanda di annullamento, perché ciò varrebbe a porre il diverso problema della legittimità di una disciplina che tornasse a negare la tutela risarcitoria autonoma per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere della pubblica amministrazione.
Nella sostanza, tutela risarcitoria autonoma delle situazioni di interesse legittimo significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l'illegittimità di tale agire.
Questo accertamento - secondo la Cassazione - non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovverosia la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità.
Giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento, ma fine della pregiudiziale amministrativa; questa è la conclusione della Cassazione, che per rendere effettivo il principio, aggiunge, con un obiter dictum, che se il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione, non esaminando nel merito la domanda autonoma di risarcimento del danno per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti, la sua decisione, a norma dell'art. 362, primo comma c.p.c., si presta a cassazione da parte delle sezioni unite quale giudice del riparto della giurisdizione.
Il problema della pregiudiziale viene così trasformato in una questione di giurisdizione.
E’ già stato detto che parte della dottrina amministrativa ha evidenziato che in tal modo, però, si finisce per assoggettare le sentenze del giudice amministrativo ad un controllo di merito, estraneo a profili di giurisdizione, per i quali solo è ammesso il sindacato della Cassazione.
E’ stato inoltre evidenziato che, a differenza dell’atto nullo che non è espressione della funzione amministrativa e come tale non è idoneo a produrre effetti, il provvedimento (solo) illegittimo regola il caso concreto e svolge tranquillamente i suoi effetti fino ad un eventuale annullamento.
Non è, quindi, sufficiente affermare che il risarcimento senza l’annullamento lascia vivere l’atto e perciò non mina il sistema della certezza degli atti amministrativi e della inoppugnabilità-decadenza, in quanto tale assunto non tiene conto  della presenza anche nel diritto civile, di una sorta di pregiudiziale di annullamento in presenza dell’esercizio dei c.d. poteri privati contestabili entro termini di decadenza e del fatto che le esigenze di certezza del diritto non possono essere segmentate e ritenute valide solo ai fini dell’annullamento dell’atto, quando invece la stabilità dei rapporti riguarda anche, se non a volte soprattutto, gli aspetti economici e più in genera il consolidamento, sotto ogni profilo, dell’assetto di interessi regolato dal provvedimento. [16]
Del resto, era stata la stessa II Sezione  della Cassazione ad evidenziare che anche nel diritto civile sussistono esigenze di certezza per l’esercizio dei poteri privati (delibere societarie o di assemblee di condominio; poteri disciplinari del datore di lavoro), che hanno indotto il legislatore ad introdurre termini decadenza, la cui scadenza preclude anche l’azione risarcitoria.[17].
Con le ordinanze del giugno del 2006 la Cassazione non si prende cura di esaminare tale aspetto, né sottopone a revisione critica la giurisprudenza della propria II Sezione; non si comprende la ragione per la quale sia precluso al socio o al condomino dissenziente di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da una delibera societaria o condominiale non impugnata nei termini rispettivamente previsti dagli artt. 2377 e 1137 c.c., mentre in analoga situazione di mancata impugnazione del provvedimento amministrativo entro il termine di decadenza debba, invece, essere consentito al privato di chiedere il risarcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione.[18]
In tali casi è sempre stato considerato pacifico che la mancata contestazione nei termini di decadenza delle deliberazioni precludesse anche la domanda risarcitoria; un’indicazione contraria non può essere rinvenuta nella riforma del diritto societario, adottata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, con cui è stato modificato l’art. 2377 c.c., che prevede ora, al comma 6, che “l'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione …”.[19]
Infatti, la norma si limita a consentire la scelta in favore della sola azione risarcitoria, semprechè sia rispettato il termine di decadenza previsto per la contestazione dei c.d. poteri privati, ma in alcun modo consente, come sembra voler ora intendere la Cassazione per i provvedimenti amministrativi, di lasciar decorrere il termine di decadenza per poi agire in via risarcitoria nel ben più ampio termine di prescrizione.
Solo in casi eccezionali, nel diritto societario il legislatore ha inteso limitare l’azione di annullamento privilegiando quella risarcitoria, come avviene per le trasformazioni societarie, per le quali l’art. 2500 bis c.c. prevede che, una volta eseguita la pubblicità prescritta, l'invalidità dell'atto di trasformazione non può essere pronunciata e resta salvo solo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all'ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione. Ciò conferma che solo nelle ipotesi eccezionali in cu è preclusa ex lege  l’azione di annullamento, è allora privilegiata la tutela risarcitoria anche oltre il termine di decadenza; ma tali ipotesi eccezionali non sono previste nel diritto amministrativo.
Peraltro, il problema dell’opzione tra tutela risarcitoria e tutela di annullamento è di carattere diverso rispetto a quello della pregiudiziale, come verrà esposto oltre in modo più approfondito anche con riferimento al diritto amministrativo.
Non è inoltre chiaro il motivo per cui nelle recenti ordinanze del giugno del 2006 la Cassazione abbia avvertito l’esigenza di formulare in via preventiva un dubbio di legittimità costituzionale in relazione ad un eventuale intervento del legislatore diretto a introdurre, per la domanda di solo risarcimento del danno, un termine di decadenza sostanzialmente eguale a quello cui è soggetta la domanda di annullamento, senza che tale questione sia stata invece posta in relazione ad una norma, non ipotetica ma vigente, che ciò prevede per le deliberazioni societarie.
Tali considerazioni conducono a ritenere non ancora definita la questione della pregiudiziale e ciò è avvalorato anche alla prima giurisprudenza amministrativa successiva alle ordinanze della Cassazione.
Nei soli due mesi successivi alla pubblicazione di tali ordinanze vi sono, infatti, state ben tre prese di posizione dei giudici amministrativi di primo grado, che hanno ribadito le ragioni poste a fondamento della pregiudiziale, andando consapevolmente e motivatamente di contrario avviso rispetto alla Cassazione.
E’ stato evidenziato che, sia che si consideri quindi la risarcibilità come elemento integrativo eventuale della situazione giuridica o come sanzione portata da una norma di protezione e quindi secondaria,comunque è da escludere che la pretesa risarcitoria sia autonoma rispetto alla situazione protetta,possa avere vita propria e che, se la pretesa risarcitoria costituisce solo un mezzo di tutela dell’interesse legittimo, il giudizio relativo all’accertamento dell’ingiustizia del danno,cioè dell’esistenza di una lesione arrecata all’interesse legittimo e della non giustificabilità della medesima in base all’ordinamento (antigiuridicità) non potrà che essere svolto dal giudice che conosce dell’interesse legittimo (il giudice amministrativo) e secondo le modalità con le quali conosce di questo istituto (quelle proprie del giudizio impugnatorio, che prevede un termine di decadenza per contestare la legittimità dei provvedimenti amministrativi).[20]
Sono poi seguita anche alcune decisioni del Consiglio di Stato sempre in favore della tesi della pregiudiziale, pur non essendo motivato il contrasto con l’orientamento della Cassazione.[21]
E’ quindi ancora presto per comprendere se l’indirizzo espresso dalla Cassazione con le ordinanze del giugno del 2006 possa ritenersi consolidato o se si aprirà, come sembra emergere dalle prime pronunce dei Tar, un contrasto con la giurisprudenza amministrativa.
Se dovesse prevalere l’orientamento della Cassazione l’omessa impugnazione del provvedimento amministrativo, fonte del danno, non rappresenterà più una causa di per sé ostativa all’accoglimento dell’azione risarcitoria, ma costituirà comunque un elemento valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c..
Infatti, è bene chiarire che, anche venendo meno la necessaria pregiudizialità della pronunzia sulla illegittimità dell'atto rispetto alla domanda di risarcimento, non può tuttavia ritenersi che questa sia in ogni caso da accogliere anche se il provvedimento amministrativo sulla cui illegittimità si fonda sia divenuto inoppugnabile.
Sulla base dell’art. 1227, comma 2, c.c. il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ed è comunque diminuito se il fatto colposo del creditore ha contribuito a cagionare il danno (comma 1).
Sulla base di tale disposizione va, quindi, imputata al creditore quella parte di danno che avrebbe potuto essere evitata usando l’ordinaria diligenza nella difesa del proprio interesse, e tale potrebbe essere considerata la mancata proposizione del rimedio costitutivo[22].
Fino ad oggi era stato escluso che il secondo comma di tale articolo potesse essere interpretato nel senso di richiedere che il danneggiato sia tenuto a far valere tempestivamente in giudizio il suo diritto nei confronti del danneggiante, in quanto il ricorso a rimedi processuali comporta pur sempre un apprezzabile sacrificio in termine di costi e di rischi. [23]
Tuttavia, l’applicazione di tale indirizzo alle fattispecie di danno da provvedimento amministrativo illegittimo potrebbe essere riconsiderata se dovesse consolidarsi la tesi contraria alla pregiudiziale, come dimostra anche quella giurisprudenza che in passato aveva già accolto la tesi dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria autonoma.[24]
Del resto, è stato osservato che l’esperimento del rimedio annullatorio non implica né maggiori rischi né maggiori costi rispetto a quelli affrontati esercitando l’azione di responsabilità, sicché la sua proposizione rientra nel criterio dell’ordinaria diligenza[25].

4. L’opzione del privato in favore della tutela risarcitoria.
Prima delle recenti novità giurisprudenziali sulla questione della pregiudiziale, era emerso un ulteriore problema: quello della scelta tra tutela demolitorio-conformativa e la tutela risarcitoria, rispetto alla quale ci si è chiesti se nel nostro sistema è desumibile una priorità in favore della tutela demolitorio-conformativa, ove possibile o se la scelta tra i due strumenti è rimessa alla volontà del ricorrente.
Con una interessante sentenza, il Consiglio di Stato ha optato per tale seconda soluzione in una fattispecie in cui comunque il bene della vita controverso era ormai conseguibile solo in parte. [26]
Dopo aver ottenuto l'annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara a licitazione privata indetta per l'affidamento di un pubblico servizio, un'impresa privata aveva rifiutato di subentrare, come offerto dall'amministrazione, nell'effettuazione del servizio per il residuo periodo pari a 5 mesi (rispetto ai 3 anni del contratto) e aveva proposto davanti al G.A. una domanda di risarcimento del danno.
L’accoglimento della domanda risarcitoria da parte del Consiglio di Stato era scontato per la parte del contratto già eseguita, rispetto alla quale la scelta dell'impresa di non subentrare non aveva comunque inciso (il subentro sarebbe stato possibile solo per gli ultimi 5 mesi e, quindi, il mancato svolgimento del servizio per i primi due anni e sette mesi non poteva che essere risarcito per equivalente).
In relazione agli  ultimi cinque mesi, il Consiglio di Stato sottolinea che l'interesse originario della impresa era indirizzato all'esecuzione dell'appalto per il suo complessivo valore e durata, quali identificati nel bando di gara e che la prestazione del servizio per un periodo di limitata durata introduce, invece, condizioni nuove negli aspetti economici ed organizzativi, che l'impresa può valutare con la più ampia sfera di autonomia con riguardo sia al diverso impegno di mezzi ed attrezzature, sia al mutato livello di remunerazione che ne può conseguire.
La riconosciuta possibilità di optare per il risarcimento per equivalente e di rifiutare l'esecuzione, ormai solo parziale, del giudicato viene fatta derivare anche dall'applicazione del principio di carattere generale: di cui all'art. 1181 c.c., secondo cui il creditore può sempre rifiutare l'offerta di un adempimento parziale rispetto all'originaria configurazione del rapporto obbligatorio (ad un adempimento parziale è equiparabile la disponibilità dell'amministrazione di consentire l'effettuazione del servizio per la durata di soli cinque mesi rispetto ai trentasei indicati nel bando di gara).
Con tale decisione viene quindi riconosciuta la possibilità di optare per il solo risarcimento del danno, rinunciando ad avvalersi degli effetti conformativi del giudicato, quanto meno nei casi in cui l'esecuzione del giudicato non sia più possibile in modo pieno.
L’orientamento non può ritenersi consolidato, soprattutto con riferimento alle ipotesi in cui vi è ancora la possibilità di portare a piena esecuzione la pronuncia di annullamento.
Secondo parte della dottrina non esiste una norma che imponga all'impresa ricorrente di optare per lo svolgimento del rapporto, ma il rifiuto della prestazione richiesta deve essere attentamente ponderato anche ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c. e degli obblighi di buona fede che gravano anche sulle parti private, valutando attentamente il tempo trascorso e l'eventuale avvenuta parziale esecuzione da parte di altro soggetto.[27]
Per esempio, nell’ipotesi in cui l’annullamento dell’aggiudicazione giunga nella quasi immediatezza dei fatti, consentendo così la stipula del contratto con l’impresa ricorrente, un eventuale rifiuto di questa potrà nella maggior parte dei casi costituire motivo per negare la tutela risarcitoria ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c..
Quando invece l’annullamento sopravviene a distanza di tempo e, pur essendo ancora possibile l’esecuzione integrale, tale evenienza non interessa più l’impresa ricorrente, perché, ad esempio, l’ATI costituita per la gara si è nel frattempo sciolta e le risorse interne da destinare al rapporto con la P.a. sono state destinate ad altre attività, si può ipotizzare che la rinuncia all’esecuzione non pregiudichi la domanda di risarcimento, se non nella quantificazione del danno.
Per la quantificazione si dovrà infatti tenere conto della diversa scelta dell’impresa, che non ha immobilizzato mezzi e maestranze, ma li ha resi disponibili per altri lavori secondo un principio, secondo cui il risarcimento è stato limitato al 5 % dell’offerta senza utilizzo del criterio presuntivo del 10 %.[28]
Il discorso può essere ampliato anche ad altre controversie in materie diverse da quella degli appalti: in presenza di un diniego opposto dall'amministrazione in relazione ad un interesse pretensivo del privato (es., diniego del permesso di costruire) e del successivo annullamento in giudizio del diniego con sentenza che riconosca la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta (diritto ad edificare), può accadere che il privato abbia perso interesse ad ottenere il provvedimento amministrativo favorevole (rilascio del permesso di costruire), perché nel frattempo ha costruito altrove la propria casa di prima abitazione o l'immobile ove esercitare l'attività, ma abbia interesse ad ottenere il solo risarcimento del danno.
In questo caso, l'eventuale disinteresse del privato in ordine al rilascio del provvedimento favorevole non può precludere la tutela risarcitoria, perché comunque vi è stato un danno (ovviamente se dimostrato dal privato) derivante dal non accoglimento della pretesa.
Il problema si sposta sul campo della quantificazione: il danno risarcibile è quello per non aver potuto edificare per un determinato periodo di tempo e in ipotesi per aver sostenuto spese per canoni di locazioni o per successivi maggiori costi di costruzione. È un danno del tutto diverso dalla fattispecie, a volte ricorrente, dell'impossibilità di edificare perché nel frattempo sono mutati gli strumenti urbanistici che non consentono più l'intervento edilizio.
In questa ipotesi il danno può essere quantificato avuto riguardo alla differenza di valore tra il terreno edificato e il terreno non edificabile, detratti gli ipotetici costi di costruzione dell'immobile, nella prima ipotesi il danno è di gran lunga inferiore.
Tali considerazioni dimostrano come il problema della pregiudiziale sia in realtà distinto da quello dell’utilizzo della sola tutela risarcitoria.
Una cosa è verificare gli effetti ai fini della tutela risarcitoria della mancata contestazione nel termine di decadenza del provvedimento amministrativo, fonte del danno; altra cosa è stabilire se il privato possa optare per la sola tutela risarcitoria (e ciò può avvenire, come dimostrano gli esempi precedenti, anche dopo la tempestiva contestazione del provvedimento amministrativo).
La necessaria impugnazione del provvedimento amministrativo illegittimo per poter chiedere il danno che da quel provvedimento deriva è stata, infatti, affermata per garantire quelle esigenze di certezza del diritto, che sono alla base del termine decadenziale previsto per la contestazione dell’esercizio del potere pubblico; tali esigenze non vengono intaccate se il privato, dopo aver contestato nel termine decadenziale l’atto illegittimo, decide di preferire la tutela risarcitoria rispetto agli altri strumenti di tutela che l’ordinamento gli offre.
La svolta della Cassazione sulla fine della pregiudiziale costituisce argomento a favore della possibilità per il privato di optare per la sola tutela risarcitoria: se infatti la domanda può essere proposta in via autonoma, senza impugnazione dell’atto, è evidente come tale scelta venga resa possibile e debba ovviamente essere consentita anche quando l’atto è stato impugnato.
Andrà tuttavia valutato se l’ammissibilità dell’opzione per la tutela risarcitoria possa in parte risolvere quegli inconvenienti delineati dalla Cassazione a sostegno della tesi contraria alla pregiudiziale.

5. Alcuni spunti di diritto comparato.
Prima di trarre le conclusioni sulla questione della pregiudiziale è utile soffermarsi su come negli altri ordinamenti europei si è posto l’analogo problema.
Innanzitutto, va sottolineato che anche negli altri ordinamenti è avvertita l’esigenza di prevedere un breve termine di decadenza per impugnare gli atti amministrativi e ciò a presidio della certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico; in analogia con il nostro termine di 60 giorni, in Germania è previsto un termine di un mese decorrente dalla decisione del previo ricorso amministrativo, in Francia, Spagna e nel sistema comunitario un termine di due mesi e in Gran Bretagna di tre mesi.
E’ stato inoltre evidenziato che anche nel diritto comparato la tematica dei rapporti fra azione di annullamento e azione risarcitoria si colloca a cavallo fra il contesto strettamente processuale e la più generale tematica dei limiti della responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione. [29]
L’ordinamento francese è quello in cui si registra la posizione più netta in favore della autonomia fra azione risarcitoria e azione annullatoria e ciò va letto nell’ambito della specialità, che caratterizza il diritto della responsabilità civile dell’amministrazione francese: nel corso del procedimento amministrativo vi è una tutela minore ed anche in sede giurisdizionale vi è una preferenza per la tutela risarcitoria rispetto alla possibilità di incidere direttamente sul potere esercitato [30].
Diversa è la situazione negli altri ordinamenti: in Gran Bretagna, le azioni in tort nei confronti dei public powers vengono respinte qualora non siano stati previamente esperiti i rimedi amministrativi [31]; in Germania non esiste un pregiudiziale di annullamento di tipo processuale, ma, in applicazione di una norma di diritto sostanziale (§ 839, Abs. 1 e 3, BGB) la pretesa nei confronti dell’amministrazione viene respinta se la vittima del pregiudizio ha intenzionalmente o colposamente omesso di mitigare il danno non ricorrendo agli altri rimedi giuridici offerti dal sistema [32]; nell’ordinamento comunitario dalle pronunce della Corte di Giustizia, che non sono state sempre uniformi, emerge una tendenza a non ritenere sussistente la pregiudiziale di annullamento, ma a considerare non ammissibile l’azione risarcitoria autonoma tutte le volte in cui essa tenda in realtà a mascherare una ormai tardiva azione di annullamento [33]
Da questi brevi spunti di diritto comparato emerge che solo in Francia vi è una piena autonomia, giustificata a causa delle peculiarità evidenziate in precedenza, tra azione di annullamento e tutela risarcitoria, mentre negli altri ordinamenti, compreso quello comunitario, pur non esistendo una pregiudiziale di annullamento di tipo processuale, è, ameno tendenzialmente, richiesto il tempestivo esercizio dell’azione di annullamento per poter poi chiedere il risarcimento del danno da provvedimento amministrativo illegittimo.

6. Conclusioni.
La questione della c.d. pregiudiziale amministrativa è ancora lontana dal raggiungimento di certezze e dal consolidamento degli orientamento giurisprudenziali.
Dopo la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale sembrava chiaro che si trattava di un problema interno alla giurisdizione amministrativa, ma le recenti decisioni della Cassazione hanno non solo ribaltato l’orientamento prevalso nella giurisprudenza amministrativa, ma anche trasformato la pregiudiziale in una questione di giurisdizione.
La Cassazione sembra aver indicato al giudice amministrativo la strada per rendere effettiva, e compatibile con i principi costituzionali, la tutela risarcitoria affidata dal legislatore, avvertendolo però che, nel caso in cui continuasse a seguire la tesi della pregiudiziale, si tratterebbe di un rifiuto di esercizio della giurisdizione, sindacabile dalla stessa Cassazione ai sensi dell’art. 362, primo comma c.p.c..
E’ già stato illustrato come entrambi i passaggi non siano del tutto convincenti: da un lato appare forzato ritenere che il problema costituisca una questione di giurisdizione, in quanto altrimenti anche una tesi giurisprudenziale che conduca a ritenere irricevibile un determinato ricorso per tardività potrebbe, seguendo lo stesso ragionamento, essere sindacata come rifiuto di esercizio della giurisdizione, trasformando il limitato sindacato della Cassazione sulle sentenze del giudice amministrativo, previsto dall’art. 111 della Costituzione, in un controllo di merito sulle decisioni.
Sotto altro profilo, nell’aderire alla tesi della scomparsa della c.d. pregiudiziale, la Cassazione non sembra farsi carico dell’esistenza di una pregiudizialità di annullamento anche nello stesso diritto civile e, più in generale, delle esigenze di certezza del diritto e delle posizioni giuridiche, connesse alla previsione di un termine di decadenza per contestare i provvedimenti amministrativi.
Si dovrà ora attendere i successivi sviluppi della giurisprudenza per verificare se il Consiglio di Stato aderirà alla tesi della Cassazione, facendo così diventare un problema solo teorico quello, appena descritto, dell’estensione del sindacato della Cassazione sulle sentenze del giudice amministrativo; o se, invece, si determinerà un conflitto tra giudice amministrativo e giudice civile ed allora sarà necessario verificare se realmente la Cassazione si spingerà fino ad annullare sentenze del Consiglio di Stato di reiezione di una domanda risarcitoria per l’omessa impugnazione del provvedimento, fonte del danno.
In questo scenario, ciò che deve essere evitato è che la questione si riduca ad uno scontro tra le due giurisdizioni, che lasci in secondo piano il cittadino.
Con il riconoscimento della risarcibilità dei danni causati alle posizioni di interesse legittimo, la Cassazione ha (tardivamente) fatto cadere un privilegio di cui godeva la pubblica amministrazione a scapito del cittadino, che per decenni si è visto sbarrata la strada della tutela risarcitoria per un discutibile orientamento della giurisprudenza civile.
Ora che il privilegio è caduto, si deve cercare di rendere effettiva anche la tutela risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione e di evitare che i contrasti giurisprudenziali possano contribuire a creare incertezza e a disorientare il cittadino, che, ad esempio, nel corso del 2006, ha già ricevuto contraddittorie indicazioni riguardo al giudice a cui rivolgersi e alle modalità attraverso cui proporre la sua domanda risarcitoria.
Si sono già esposte le ragioni per le quali il mantenimento della pregiudiziale non sembra costituire una diminuzione di tutela per il cittadino.
Se dovesse prevalere l’orientamento contrario, dovrà però essere chiarito allo stesso cittadino che in realtà la mancata impugnazione del provvedimento amministrativo verrebbe molto spesso valutata, ai sensi dell’art. 1227 c.c., per la riduzione o l’esclusione del danno risarcibile.
In tale quadro, non è escluso un intervento chiarificatore del legislatore, che precisi entro quale termine deve essere proposta la domanda risarcitoria e, al riguardo, non si condivide quanto affermato dalla Cassazione, secondo cui tale termine, per essere costituzionalmente legittimo, non potrebbe mai coincidere con quello previsto per impugnare i provvedimenti amministrativi.[34]
L’auspicio è che le due giurisdizioni, ed eventualmente il legislatore, forniscano al più presto al cittadino elementi chiari sulle modalità di proposizione della domanda risarcitoria per i danni provocati dall’amministrazione nell’esercizio della sua attività e definiscano un quadro coerente con le esigenze di effettività della tutela giurisdizionale e di certezza del diritto.<


[3] Cons. Stato, VI 18 giugno 2002 n. 3338, che richiama Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2002 n. 952.
[4] Cons. Stato, Ad. Plen., 26 marzo 2003 n. 4.
[5] Cons. Stato, VI 18 giugno 2002 n. 3338.
[6] Cass. civ., II, 27 marzo 2003 n. 4538; in senso contrario, Cass. civ., Sez. un., 26 maggio 2004 n. 10180, ma con il solo seguente breve inciso, privo di ulteriore motivazione: “l'art. 7 della legge n. 205 del 2001 mostra con la sua ampia formulazione, di volere devolvere, al giudice amministrativo, "nell'ambito della sua giurisdizione", la cognizione dei danni che, come è stato anche evidenziato, scaturiscono da provvedimenti e da condotte non conformi a diritto (ossia illecite nella prospettiva dell'art. 2043 c.c.), senza che all'uopo sia necessaria in via pregiudiziale una illegittimità provvedimentale consacrata dalla pronunzia di annullamento”.
[7] Sull’art. 1227 c.c. vedi la parte finale del successivo par. 3.
[8] Vedi, fra gli altri, A. Romano Tassone, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, in Giust. it www.giust.it n. 3/2001, nonché Id., Sul problema della c.d. “pregiudiziale amministrativa”, intervento al convegno tenuto a Trento il 9-10 novembre 2000, in G. Falcon (a cura di), La tutela dell’interesse al provvedimento, cit., p. 279 e ss.; R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, in Foro it. 1999, I, 3201; F. P. Luiso, Pretese risarcitorie verso la pubblica amministrazione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, in Riv. dir. proc. 2002, 46; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2001, pp. 662 e ss. e 718 e ss.; A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione, vol. II, Milano, 2005, 552..
[9] G. Cugurra, Risarcimento dell’interesse legittimo e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm. 2000, 6 e ss.; G. Greco, Interesse legittimo e risarcimento dei danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa europea e dei contributi della dottrina, in Riv. it. dir. pubbl. com. 2000, 1130 s.; G. Falcon, Il giudice amministrativo fra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. Proc. Amm., 2001, 287; I. Franco, Commento all’art. 7, in La giustizia amministrativa. Commento alla l. 21 luglio 2000, n. 205, a cura di V. Italia, Milano, 2000, 192; L. Moscarini, Risarcibilità degli interessi legittimi e termine di decadenza: riflessioni a margine dell’ordinanza n. 1 dell’Ad. pl. del Consiglio di Stato 2 gennaio 2000, in Dir. proc. amm. 2001, 1 e ss.; P. Stella Richter, Il principio di concentrazione nella legge di riforma della giustizia amministrativa, in Giust. civ. 2000, II, 438 e s.; R. Villata, La riforma, in B. Sassani e R. Villata (a cura di), Il processo davanti al giudice amministrativo Commento sistematico alla legge n. 205/2000, Torino, 2001, pp. 4 e 5.
[10] F. Cintioli, La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza n.204 del 2004 della Corte Costituzionale, www.giustamm.it.
[11] In linea con la sentenza n. 204/2004 è anche la più recente decisione 3 maggio 2006 n. 191 della Corte Costituzionale, in cui è stato affermato che il legislatore ha introdotto un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica (il giudice amministrativo) poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l'illegittimo esercizio della funzione.
[12] Cass. civ., Sez. un., 31 marzo 2005 n. 6745.
[13] Cass., sez. un., 23 gennaio 2006 n. 1207.
[14] La Cassazione, con la sentenza n. 1207/06, ha affermato che resta salava solo l’attribuzione al giudice ordinario della cognizione incidentale sull’atto amministrativo e del potere di disapplicazione dell’atto illegittimo nei casi in cui esso venga in rilievo non già come causa della lesione del diritto soggettivo dedotto in giudizio, ma solo come mero antecedente sicchè la questione della sua legittimità venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (Cass. 22 febbraio 2002, n. 2588; Sez. un., 10 settembre 2004, n. 18263).
[15] Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660.
[16] P. Carpentieri, Due dogmi, un mito e una contraddizione (prime riflessioni su Cass., ss.uu., ord. 13 giugno 2006, n. 13660), in www.giustamm.it., 2006.
[17] Cass., II, 27 marzo 2003 n. 4538, cit..
[18] P. Carpentieri, cit., si chiede appunto perché non è possibile per il condomino dissenziente chiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla delibera non impugnata e sia invece consentito a chi nel 2001 ha subito un diniego di autorizzazione amministrativa (asseritamente illegittimo) e non lo ha impugnato, di andare dopo due anni (nel 2003) dal giudice (civile o amministrativo, poco cambia sotto questo profilo) a chiedere i danni (fattispecie esaminata da Cass, ord. n. 13660/06, cit.). Aggiunge l’autore che ha poco senso per un Comune sapere che la dichiarazione di pubblica utilità non verrà più annullata quando poi l’ente e il suo dirigente responsabile dell’atto possono essere chiamati a risarcire al privato il danno da questi lamentato (aggiungendoci la differenza tra indennizzo e valore venale, più accessori del credito e annessi e connessi, ivi incluse le spese del giudizio risarcitorio). Se si vuole sostenere che l’onere imposto dalla legge processuale amministrativa al privato è troppo pesante, allora si discuta di questo, del termine per impugnare. Si allarghino le maglie dell’errore scusabile; si amplino i casi di rimessione in termini; si pretenda rigore nella comunicazione individuale effettiva degli atti. Si proponga di portare a novanta i giorni per l’impugnativa. Si sanzioni effettivamente la mancata indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere (in questi casi, peraltro, è possibile riconoscere la rimessione in termini).
[19] Secondo G. Comporti, Pregiudizialità amministrativa: natura e limiti di una figura a geometria variabile, in Dir. proc. amm. 2005, 2, 280, sarebbe in tal modo enfatizzata la alternativa tutela risarcitoria in favore dei soci che non possono o non vogliono impugnare la deliberazione: la relativa azione, benché assoggettata ad un discutibile termine di decadenza al pari dell'impugnazione, non sarebbe a questa legata da nessun rapporto di pregiudizialità necessaria e, anzi, rappresenterebbe in alcuni casi (come, ad esempio, gli aumenti o le riduzioni di capitali e l'emissione di obbligazioni: art. 2379-ter) l'unica prospettiva di tutela offerta al socio o ai terzi. La norma, inoltre, indicherebbe una chiara preferenza assicurata ai rimedi riparatori rispetto a quelli reali, al dichiarato scopo di garantire certezza e stabilità ai rapporti ingenerati dalla decisione adottata.
[20] Tar Puglia, Lecce, 4 luglio 2006 n. 3710, che, con decisione ampiamente motivata, evidenzia anche l’asimmetria che,configurando l’azione risarcitoria come autonoma rispetto all’azione impugnatoria, si verrebbe a determinare fra le due vie di reintegrazione dell’interesse legittimo leso:la reintegrazione dell’interesse legittimo in forma specifica e il risarcimento del danno; La prima sarebbe inscindibilmente connessa all’utile esperimento dell’azione impugnatoria,l’altra sarebbe esperibile autonomamente e troverebbe accoglimento a seguito di un giudizio che riguarderebbe la fonte del danno non come atto (perché in tal caso se ne dovrebbe occupare il giudice amministrativo in sede impugnatoria),ma come fatto.
Orientamento poi condiviso anche da Tar Abruzzo, 11 luglio 2006 n. 581 (Se il privato ha omesso di impugnare tempestivamente l’atto illegittimo, ha consentito che questo regolasse in tal modo il rapporto giuridico, permettendo all’atto di  esplicare la sua efficacia, per cui non può essere considerato causa di danno) e da Tar Campania, 3 agosto 2006 n. 7797.
[21] Cons. Stato, V, 25 luglio 2006 n. 4645; V, 30 agosto 2006 n. 5063.
[22] Così fra gli altri, richiamando la corrispondente pratica tedesca, G. Falcon, Il giudice amministrativo fra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, cit., 244; v. inoltre F. Trimarchi Banfi, Tutela specifica degli interessi legittimi, Torino, 2000,  47 e ss., e C. Varrone, Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria, 79, in V. Cerulli Irelli (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000.
[23] In questo senso, Cass. civ., I, 7 novembre 1988 n. 5995. Vedi, anche, Corte cost., ord. 14 luglio 1999, n. 308, secondo cui «l’onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell’agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento».
[24] Cons. Stato, IV, 22 marzo 2001 n. 1684, in cui è affermato che, poiché l'illegittimità del provvedimento è uno degli elementi costitutivi dell'illecito causativo del danno, deve ritenersi precluso, ai sensi dell’art. 1227 c.c., all'interessato di far valere la pretesa al risarcimento allorché egli non abbia esercitato i mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, quali la tempestiva impugnazione dell’atto.
[25] F. Trimarchi Banfi, Tutela specifica degli interessi legittimi, cit., p. 48 e ss..; D. De Pretis, Azione di annullamento e azione risarcitoria nel processo amministrativo, in Dir. & Form, 2002.
[26] Cons. Stato, VI,  10 novembre 2004, n. 7256, con nota di R. Chieppa, E’ possibile optare per il solo risarcimento del danno da provvedimento amministrativo illegittimo, senza avvalersi degli effetti conformativi del giudicato di annullamento ?, in Dir. & form., 2005, 376.
[27]  R. Chieppa, E’ possibile optare, cit.; in senso favorevole alla possibilità di opzione per la tutela risarcitoria anche F. Francario, I, Inapplicabilità del provvedimento amministrativo ed azione risarcitoria, in Dir. amm., 2002 , 23 e, in parte, F. Cintioli, La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza n. 204 del 2004 della corte costituzionale, in Dir. & form., 2004, 1342, il quale, pur affermando la natura tendenzialmente sussidiaria dell’azione risarcitoria, non esclude una azione risarcitoria formulata in via preferenziale rispetto all’annullamento.
[28] Cons. Stato, V, 24 ottobre 2002, n. 5860.
[29] Vedi, per una ampia ricostruzione del problema della pregiudiziale e dei profili di diritto comparato, D. de Pretis, Azione di annullamento e azione risarcitoria nel processo amministrativo, cit.; vedi anche, D. de Pretis, Il processo amministrativo in Europa. Caratteri e tendenze in Francia, Germania, Gran Bretagna e nell’Unione europea, Trento, 2000 e M. Bussani, La responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per attività illegittima. Note di diritto comparato, in Resp. civ. e prev., 2000, 547 e ss.
[30] In questo senso D. De Pretis, Azione di annullamento e azione risarcitoria nel processo amministrativo ,cit., che richiama, per un interessante raffronto fra meccanismi di tutela ripristinatoria, riparatoria e partecipativa nei sistemi inglese, francese ed europeo è proposto da S. Schønberg, Legitimate Expectations In Administrative Law, Oxford University Press, Oxford, 2000. Viene evidenziato che i giudici amministrativi francesi sono sì più generosi di altri nel concedere il risarcimento dei danni causati da decisioni sbagliate della p.a., ma tendono a limitare la misura dei danni risarcibili attraverso l’applicazione diversamente bilanciata, caso per caso, dei criteri di legalità, di nesso di causalità diretta, di danno attuale e certo e di corresponsabilità nell’illegalité, i quali finiscono spesso per risolversi in tecniche di limitazione, almeno quantitativa, del risarcimento.
[31] Vedi sempre D. De Pretis, cit., che sottolinea che tale regola risulta essere in qualche modo “codificata” nella normativa sul judicial review ossia nella procedura che può a buon diritto esser considerata il processo amministrativo inglese. La Rule 54.3 (2) della Part 54 delle Civil Procedure Rules prevede infatti la possibilità per il ricorrente di chiedere incidenter alla High Court, nell’ambito di una claim for judicial review, il risarcimento dei danni (subiti in relazione alla vicenda per la quale l’azione è stata proposta) a condizione che la Corte si convinca che il ricorrente avrebbe ottenuto il risarcimento se avesse proposto la domanda nell'ambito di un processo ordinario; al ricorrente non è tuttavia consentito di proporre da sola l’azione di danno.
[32] D. De Pretis, cit., afferma che, sulla base di tale norma sostanziale, la pregiudizialità esiste di fatto, con la conseguenza che nella quasi totalità dei casi – e in sostanza con esclusione solo del caso in cui all’interessato sia possibile dimostrare che, pur usando l’ordinaria diligenza, non gli sarebbe stato possibile esercitare l’azione di annullamento – la proposizione dell’azione di danno richiede la preventiva tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo.
[33] D. De Pretis, cit., evidenzia che, in assenza di riferimenti di carattere positivo sulla problematica del rapporto fra l’azione di annullamento e azione di risarcimento del danno derivante al privato da un provvedimento illegittimo, la Corte di giustizia, dopo una prima presa di posizione apparentemente in termini di pregiudizialità dell’annullamento (Corte di giust. 15 luglio 1963, in causa C-25/62, Plaumann) ha affermato che si tratta, in principio, di azioni autonome (Corte di giust. 28 aprile 1971, in causa C-4/69 Lütticke, in Racc. 1971, 325; Corte di giust. 17 maggio 1990, in causa C-87/89 Sonito, in Racc. 1990, I, 1981); tuttavia l’azione di risarcimento resterebbe nella sostanza preclusa (oltre che, ovviamente, quando sia intervenuto un annullamento che ha riparato al danno prodotto), quando l’interessato abbia contribuito al danno omettendo di impugnare, come avrebbe potuto, l’atto lesivo (Tribunale di primo grado 8 maggio 2001, in causa T-182/99, Caravelis). Sempre con riferimento all’approccio comunitario al problema della pregiudiziale amministrativa, l’autore ricorda che il legislatore comunitario nella direttiva ricorsi, consapevole del fatto che gli ordinamenti nazionali prevedono tutele differenziate, lasciava a ciascuno Stato membro la facoltà di configurare l’annullamento come pregiudiziale rispetto all’azione risarcitoria; e infatti così fece il nostro legislatore nazionale con l’art. 13 l. 241/1992 (ora abrogato), adottando una soluzione che nel periodo di sua vigenza non ebbe mai modo, a quanto risulta, di essere sospettata di non conformità ai principi comunitari.
[34] Al più, vi potrebbe essere l’esigenza di fissare in 120 giorni il termine per proporre, a pena di decadenza, la domanda risarcitoria autonoma per danni da provvedimento, tenuto conto che la contestazione del provvedimento amministrativo può avvenire o entro il termine di 60 giorni davanti al giudice amministrativo, o con la proposizione di un ricorso straordinario al capo dello Stato entro il termine di 120 giorni.


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